Paola Mastrocola Che animale sei? Storia di una pennuta 2005 Non capita a tutti, nascendo, di andare a finire esattamente dentro una pantofola, ma a lei capitò. E dormì un gran tempo dentro quella pantofola, sognando di non essere ancora nata. Quando si svegliò, non era più la notte di Natale ma faceva ancora molto freddo. Dal bidone colavano certi succhi un po' appiccicosi, che le finivano, guarda un po', giusto in bocca. Così si nutrì per giorni e giorni senza che nessuno la nutrisse. Quando fu abbastanza cresciuta, uscì dalla pantofola. Le si mise ben bene davanti e per la prima volta la guardò; vide le grandi orecchie da topo, i baffi lunghi e gli occhi di vetro luccicanti. Essendo la prima cosa che vedeva, quella pantofola diventò sua madre. La abbracciò, schioccandole un grosso bacio sul muso, e le disse: "Ti voglio bene, mamma". Da quel giorno si sentì un vero castoro. E smise di dire che era una pantofola. C'è un momento in cui i pensieri bisogna fermarli. Perché ne vengono troppi e si accavallano. Proprio come i cavalli: se tu li fai partire tutti insieme, poi si mettono uno sull'altro e infatti si dice: si accavallano. I cavalli. Ma anche i pensieri si possono accavallare. Mi si sono accavallati i pensieri, si dice. Si dice? Sì, si può dire, perché no? Quando ci succedono delle cose tristi, la prima cosa che abbiamo voglia di fare è di andarcene lontano. Ci sembra che, facendo così, le cose tristi le lasciamo dove sono. Invece loro non stanno ferme, vengono via con noi. E' incredibile come, anche nelle situazioni più drammatiche, scomode o complicate, noi ci fermiamo a guardare i particolari. Ci incantiamo sui particolari, piccoli dettagli insignificanti che prendono del tutto la nostra attenzione. Lei ad esempio era stanca, lacera e affamata. Veniva da un anno di viaggio e doveva trovarsi da mangiare e da dormire. Ma s'incantò davanti a un giardino. Era sua profonda convinzione infatti l'idea che tutto a questo mondo passa, anche le domande; bisogna solo lasciarle passare e non intestardirsi a volervi rispondere a tutti i costi. La stessa cosa, secondo lei, valeva per le lettere, i messaggi nella segreteria telefonica e l'e-mail: si poteva benissimo non rispondere a nulla di tutto ciò, bastava avere la pazienza di lasciar passare il tempo. Lei era un'anatra. Una pennutissima anatra. Una cappa di piombo le scese sulle piume. Si sentì mille cose diverse, tra cui: stanca, scoperta, nuda, artificiale, stupida, ignota, insignificante… Cosa mai significava "anatra"? Mai sentita una parola simile. E poi, significano qualcosa le parole? Nella vita lei era stata tante parole: pantofola, castoro, pipistrello… Ma questa volta sentiva che non era la stessa cosa. Adesso le dicevano: anatra, e questa volta sei sentiva dentro di sé che era… vero. Fu tramortita dal vero. Stava diventando felice, perché, in fondo, è bello sapere chi siamo. E' un pensiero che ci solleva, e ci conforta anche nei momenti più bui, quando tutto intorno cambia, diventi vecchio, magari perdi le persone care, cadi in disgrazia, ti crolla la casa… Non importa, c'è un'unica cosa che non cambierà mai: che animale sei. L'unica tua incrollabile certezza. La pupa tornò a casa che si sentiva uno strofinaccio strizzato per lavare i pavimenti: triste, utile. Obbediente, disperatamente rassegnato. A casa invece fu accolta come una specie di star che sia sul punto di vincere l'Oscar per la migliore interpretazione femminile. A volta la vita è così… doppia! Sai, lupo, è andata così: madame Gru non voleva adottarmi perché non aveva tempo, doveva prendere il tè con suo marito, ma io dovevo a tutti i costi trovare una famiglia perché, quando stavo dai castori, mi hanno rubato la pantofola, che era poi mia madre, e siccome il mio amico castoro Gorge voleva solo andare a Oxford, non poteva cercarmi la pantofola madre e allora ho restituito i vestiti da castoro, ma sono stata rapita dai pipistrelli che mi facevano fare la doccia nera e anche la cena elettorale, allora sono scappata e ho incontrato una bambina adottata che mi ha detto: perché non ti fa adottare anche tu, e per farti adottare devi andare dove ci sono i condomini, che sarebbero i figli dell'Amministratore bianco, e ogni condominio ha un sacco di campanelli cioè di famiglie, e tu puoi suonare fino a che qualcuno ti apre, così io suonavo a tutti i campanelli, cioè veramente grattavo le porte perché ai campanelli io come faccio ad arrivarci? E poi finalmente mi ha aperto madame Gru che ha chiamato subito suo marito, che però è tutto rosa perché lui non è una gru, è un fenicottero e io non lo so come fa una gru a sposare un fenicottero… tu lo sai? Lui la guardò salire. Pensava a mille cose: chissà come le sta bene un vestitino a fiori scollato, glielo vorrei comprare io, e invece adesso lei cosa va a cercarsi un fidanzato, meglio se non lo trova, o se quel cretino annega o se lo ingoia un castoro, e cosa diavolo ci sta a fare un fidanzato tra noi due, non c'entra niente, e io adesso glielo dico, e invece no, non glielo dico perché devo andare in biblioteca a scrivere, anche se non ho proprio neanche un'idea in testa, ma poi lo so che mi viene, perché le idee vengono sempre, le persone invece alle volte se ne vanno, soprattutto le persone un po' speciali che magari hai appena incontrato e non vorresti che andassero via mai più, le legheresti al tuo braccio con un cordino, come si fa con i palloncini, ma anche i palloncini poi se ne vanno, volano via e tu rimani con il tuo stupido cordino al braccio e cosa te ne fai, guardi il palloncino che se ne va in alto e poi non lo vedi neanche più, e chissà quanti milioni di palloncini ci sono in cielo, tutti i palloncini che abbiamo perso, che idioti!, cosa stavamo facendo quando li abbiamo persi, cosa avremmo potuto fare per non perderli mai, e io adesso cosa ci vado a fare in biblioteca, posso benissimo non andarci, e allora perché ci vado, e lei sale su quel maledetto taxi… A volte pensiamo una cosa, ma non abbastanza e, se non la pensiamo abbastanza, quella cosa pluff, se ne va… Quando madame Gru aveva un problema, grande o piccolo che fosse, o anche solo si sentiva un po' giù, chiamava la sua amica del cuore Silvitz e il mero sentir quella voce la tirava su. A volte s'inventava persino di avere dei problemi, per sentire la voce bambina della sua amica. Incredibile come a volte nella vita basti il gonnellino giusto! Brutta sorte appartenere a qualcosa! Brutta sorte dover entrare, anziché rimanere comodamente sulla soglia! Quella estate passò. Poi ne venne un'altra, perché non è che l'estate passa e finita lì,no, un'estate passa, poi ne viene un'altra, e un'altra ancora e via così. Tutto un passeggio di estati, la vita. I signori Cotter si stavano sorbendo il cappuccino in terrazza ancora in vestaglia, quando videro una specie di silfide solcare il pavimento e approdare a lato dei loro cappuccini attoniti. L'anatra silfide non disse una parola, non fece colazione: se ne stava chiusa nel suo sorriso stampato fisso, in una sua beatitudine venata di leggera fierezza. I due coniugi la guardavano allibiti. Il signor Cotter andò subito a prendere l'enciclopedia e per tutto il giorno vi si rintanò dentro, facendo analitiche ricerche sulle cause della sindrome da estasi negli animali palmati. La signora Cotter no; dopo colazione, passò la sua giornata in giro con le amiche come sempre e alla sera, trovando il suo bislacco marito ancora immerso nelle voci d'enciclopedia, gli disse: "Fenny, santocielo… Si è trovata il fidanzato, è così difficile?" Un altro giorno erano a cena a lume di candela, nella loro pizzeria preferita che si chiamava "da Botolo" perché il cuoco era un botolo di pastore polacco con tanto di frangia sempre sugli occhi, che aveva studiato da pizzaiolo; non riuscendo mai a vedere gli ingredienti per via della frangia sugli occhi, ci ficcava dentro quel che capitava e veniva sempre una pizza buonissima, che si chiamava "pizza alla cieca" o anche "pizza alla botolo" che poi voleva dire la stessa cosa. Una sera Franco le regalò persino un nome. Era tardi e c'era la luna. Lui l'accompagnò come sempre sotto casa, scese dalla moto e, pinna nella pinna, le disse "sei la mia principessa". Da quella sera si chiamò così: Principessa. Princi per gli amici. Lei che, essendo figlia di una pantofola, non aveva mai avuto un nome… D'altronde, come avrebbe fatto una pantofola a dare il nome alla propria figlia? La portarono di corsa all'ospedale, dove la tennero tre giorni in osservazione rimpinzandola di flebo. Lucio dovette spiegare ai dottori che aveva una salute di ferro, solo che la vita da fidanzata la metteva a dura prova, non aveva l'abitudine, ecco. Diagnosticarono: stress da fidanzamento esagerato. L'unica era aspettare. Lucio aveva saputo da poco che la cosa, se te la spezzano, poi ti può ricrescere. Ci vuole solo tempo. Lo aveva saputo da poco e gli era cambiata la vita: di colpo era diventato grande. Forse diventare grande è solo questo: sapere che la cosa ti può ricrescere. Avrebbe voluto dirlo alla sua amica che adesso le sembrava tutto orribile perché era come se le avessero spezzato la coda, ma che poi, ci voleva solo tempo… Solo che il brutto del tempo è che deve passare e, per passare, ci mette sempre un bel po'… di tempo. E Lucio non sapeva proprio dirle dove passare tutto quel tempo che la coda ci avrebbe messo a ricrescere. Era il cosiddetto "problema dei lucertoli": quando ti spezzano la coda, dove vai ad aspettare che ti ricresca? Ti nascondi e stai nascosto fino a che non hai la coda nuova, o fai come se la coda ce l'avessi ancora e dici che non t'importa niente se ce l'hai o non ce l'hai? Come si fa, eh? Come si fa? Il mare da lontano non è come il mare da vicino: è fermo, ed è più grande. Sembra finto. Non fa odore e non fa rumore, e così si può pensare d'esserselo sognato. Poi si scende fin giù a vedere se invece esiste per davvero e, quando si scopre di sì, che il mare c'è, è lì davanti e ha odore di mare, fa le onde e gli spruzzi e dentro ci sono anche i pesci, allora si è veramente felici. Come quando scopri che quel che hai sognato non era un sogno , era vero. Ma per provare questa felicità, devi aver pensato, anche solo una volta, che era tutto finto. Devi vederlo anche solo una volta, il mare da lontano.

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